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Solo attraverso Cristo

Il tema, sia dell'Antico sia del Nuovo Patto è centrato sulla relazione tra Dio e l'uomo. Però il Nuovo indica chiaramente che tale relazione è possibile solo per mezzo di Gesù Cristo (Gv. 14:6; 1Co. 3:11). Per mezzo di Lui Dio si riconcilia con l'uomo. In questo senso si può parlare di un unico mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù Uomo (1Ti. 2:5). Tale affermazione definisce che l'Opera di Cristo è applicata ai credenti del Nuovo Patto (cfr. Ef. 2:11-18; Gr. 31:31-33).

In generale si potrebbe dire che i mezzi della grazia propri dell'antica Alleanza fossero morali e cerimoniali. La comunione con Dio era mediata dai sommi sacerdoti e dai profeti. Questi due ruoli non possono essere contrapposti anche se nell'Antico si fa attenzione a non confonderli. Nel giorno dell'espiazione, l'offerta oggettiva per il peccato, doveva essere accompagnata dalla contrizione soggettiva di chi presentava l'offerta (Le. 16). E la presentazione del Servo dell'Eterno quale sacrificio per il peccato non è certamente casuale (cfr Is. 52:13-53).

Per la Lettera agli Ebrei i sacrifici dell'Antico, anche se ordinati da Dio, non potevano rendere perfetto colui che li offriva (Eb. 9:9,10). “La legge, infatti, possiede solo un'ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio” (Eb. 10:1). Essi servivano alla purificazione esteriore (Eb. 9:13) e non potevano togliere i peccati (Eb. 10:4).

Non avevano quindi un'efficacia oggettiva per quel che riguardava il peccato, né potevano dare pace a coloro che li praticavano. L'inefficacia di queste pratiche era evidente nella loro ripetitività e nel fatto che, essendo sacrifici d'animali, potevano solo raffigurare un'autentica sostituzione. Avevano una funzione provvisoria, simbolica e figurativa. In un certo senso erano mezzi di grazia attraverso i quali il sacrificio esterno poteva essere trasmesso ai credenti dell'Antico Patto. Essi erano semplici tipi della croce ed evocavano la grazia di Dio che sarebbe stata manifestata alla croce.

I dispensazionalisti negano che Cristo rappresentasse l'Oggetto della fede nell'Antico Patto e, per convalidare tale opinione, Ryrie si fonda su Atti 17:30. "I tempi dell'ignoranza" cui fa riferimento questo testo, sono però riferiti ai Gentili di Atene e non ad Israele. D'altro lato è chiaramente scritto che "Abrahamo, vostro padre, ha giubilato nella speranza di vedere il mio giorno e l'ha veduto e se n'è rallegrato" (Gv. 8:56). La testimonianza dei profeti riguardava infatti proprio Lui (1Pi. 1:11; 1Co. 10:2-4). Il parallelismo "in Adamo", "in Cristo", evoca l'opera della redenzione al di là di un periodo ristretto della storia (Ro. 5:12-21; 1Co. 15:22). E ciò che vale in ogni caso, non è tanto l'esperienza mistica soggettiva, ma la categoria della redenzione oggettiva in cui è posto l'individuo. Certamente l'uomo beneficia della comunione con Dio, ma ciò avviene perché si trova "in Cristo" che lo rappresenta davanti a Dio in quanto Capo dell'Alleanza.

La croce aveva quindi un valore retroattivo (Ro. 3:25). Per questo i credenti dell'Antico non potevano realizzare la perfezione (Eb. 11:40). La risonanza della resurrezione di Cristo su coloro che erano morti prima di Lui, e cioè dei "santi" che dormivano, evoca probabilmente anche il collegamento esistente tra loro e l'Opera di Cristo (Mt. 27:51-54). I credenti dell'Antico Patto non furono dunque salvati dalle loro opere, ma dall'opera di un Altro. Se infatti la salvezza fosse stata possibile attraverso l'ubbidienza della legge, Cristo morì invano (Ga. 2:21).